E’ probabile che quella che sta per chiudersi sarà la settima settimana di fila in cui i mercati americani chiudono in negativo. Un evento rarissimo: per ritrovare un andamento simile bisogna andare indietro di circa 15 anni, all’epoca della grande crisi finanziaria a seguito del default di Lehman Brothers.
Ad oggi, lo S&P 500, il principale listino al mondo, perde circa il 18%, mentre il Nasdaq ha lasciato sul terreno circa ¼ del proprio valore. Ben 46 società quotate sul listino tecnologico hanno perso oltre il 50% del proprio valore, e altre 64 oltre il 20%. Ma anche sul Dow Jones, il listino che riunisce le aziende più “tradizionali”, ci sono stati casi clamorosi: General Motors, per esempio, da inizio anno perde circa il 45%…
Un po’ meglio sta andando in Europa, dove gli indici azionari da inizio anno perdono, mediamente, tra il 12 e il 15%.
In molti, ovviamente, si interrogano se la discesa sia terminata (o sia prossima ai minimi) o se, invece, dobbiamo aspettarci ancora ribassi importanti.
Un elemento di valutazione importante in questo senso è l’analisi del p/e, vale a dire il “price earnings”, vale a dire il rapporto tra prezzi dei titoli e gli utili attesi. Solo ad inizio anno a Wall Street “girava” a 22,71, mentre in Europa si era a 16.45. A distanza di neanche 5 mesi, lo troviamo rispettivamente a 17 e a 12, valori molto più “a buon mercato”, che rende molto più interessanti le quotazioni e, allo stesso tempo, il rendimento (yeld) offerto.
Sorte analoga è toccata ai tassi di interesse, sia in termini nominali che in termini reali. Negli USA, guardando ai tassi “a lunga” (10 anni), i primi sono passati dall’1,32% al 2,63%, mentre quelli reali dal – 1,45% al – 0,39%. In Europa i tassi nominali erano allo 0,09, mentre ora sono all’1,42%. Quelli reali sono passati da – 2,01% a – 1,41%.
Due fattori saranno determinanti: andamento dell’inflazione e arrivo o meno della recessione.
Oggi i mercati “scontano” un rialzo dei tassi USA al 3%: se, quindi, la FED confermasse questo trend, potremmo avere andamenti più lineari e meno “scorbutici”. Se, invece, l’inflazione si confermasse pericolosamente oltre le attese e non desse segnali di ritorno alla “confort zone” compresa tra il 2 e il 2.50%, costringendo la Banca Centrale Americana a ulteriori manovre restrittive, ecco che potremmo assistere a nuove cadute.
C’è poi il “solito” tema della recessione. Se, come ancora molti osservatori pensano, l’economia americana e quella europea, le 2 principali aree economiche al mondo, dovessero continuare a crescere, seppur a ritmi meno intensi, confermando buoni livelli di utile, allora nessun ulteriore scossone dovrebbe colpire i mercati.
Diverso sarebbe se il rallentamento della crescita dovesse risultare maggiore, se non addirittura diventasse “decrescita”: in questo caso lo scenario rimarrebbe ribassista, con la possibile discesa sin verso 14/15 del rapporto prezzi utili.
Un quadro senz’altro non tra i più favorevoli per il Presidente Biden: negli USA l’impatto dell’andamento dei listini borsistici sulla popolarità del “commander in chief” è molto rilevante, in considerazione della predisposizione dei risparmiatori americani verso gli investimenti azionari. Tant’è che l’ennesima rilevazione da la sua popolarità, già bassa, in ulteriore discesa (ormai al 40%). Quello che però è ancor più preoccupante per l’Amministrazione USA è che il 68% degli intervistati vede il Paese, se nulla dovesse cambiare nelle politiche sin qui attuate, non in grado di risollevarsi, con il 60% che boccia senza mezzi termini l’attuale politica economica e il 61% che ritiene Biden responsabile della situazione.
Ultima di settimana positiva per i listini del far east. Aiutati anche dal buon andamento dei futures USA di questa mattina (anche quelli europei peraltro sono positivi), si avviano a chiusure in forte rialzo: Nikkei + 1,27%, Shanghai + 1.45%, Hong Kong ben + 2.85%. Una spinta, almeno a quello cinese, è arrivata anche dalla decisione della Banca Centrale della Cina di ha tagliato i tassi di riferimento a 5 anni di 15 punti base, un intervento superiore alle attese.
Petrolio in leggero ribasso questa mattina, con il WTI a $ 109 (- 0,86%).
Più deciso il calo del gas naturale, a $ 8,066 (- 3,13%).
Oro che lancia segnali di forza, portandosi a $ 1.847.
Spread sempre in zona di “pericolo”, a 195 bp, con il BTP che conferma un rendimento vicino al 2,90%.
In leggero rafforzamento il prezzo dei Treasury, che fa diminuire il rendimento dal 2,90 al 2,84%.
€ ancora in recupero, con €/$ a 1,0582.
Bitcoin che si riavvicina a $ 30.000, confermando il suo momento un po’ opaco.
Ps: mancano pochi mesi ai mondiali di calcio, che quest’anno si svolgeranno, come noto, in Qatar. Assume, quindi, ancor maggior valore, considerato il modello “maschilista” di quella regione, il fatto che per la prima volta ci saranno, tra i 36 arbitri, 3 donne (oltre che altre 3 tra i 69 assistenti).